Mala
tempora


Corrono tempi cattivi, e non da oggi. L’uomo non ce la fa proprio a non dare il peggio di se. Cinquantasette anni dopo Au Hasard Balthazar di Robert Bresson, è un altro asinello a dircelo, il protagonista di Eo di Jerzy Skolimowski, il film più sorprendente dell’anno, Gran Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes. A ottantaquattro anni suonati Skolimowski vede nero, e non ne fa mistero, lui che da ragazzo è scampato al ghetto di Varsavia e ha visto il padre fucilato dai nazisti. Ma il pessimismo pervade anche gli alri due film proposti, entrambi volti all’indietro, ad un passato meno recente, che ha addirittura radici ataviche.

Mercoledì
1 Febbraio

Premio della Giuria
Festival di Cannes 2022

eo

Eo è un film che tradisce un’urgenza che non lascia speranza, che indigna e commuove. Ricuce sul presente "Au Hasard Balthazar" (1966) di Robert Bresson, ma ne incupisce l’epilogo. Jerzy Skolimowski, il regista, che pure ha conosciuto l’orrore della Shoah, ha dichiarato di avere pianto una sola volta in vita sua, appunto quando vide il film di Bresson, e quel pianto vuole che sia di tutti, con in più una cupezza e una malinconia infinita. Ormai è vecchio, ha ottantaquattro anni, e non crede più nell’uomo. Il suo pessimismo è radicale e senza speranza. Tanto che non ce lo dice: ce lo fa sentire ! E ce lo fa sentire attraverso l’odissea di un asinello, la cui parabola inizia in un circo e finisce in un mattatoio. C’è una breve sequenza, girata in Italia, che non centra nulla. Vi compare Isabelle Huppert e la si vede quasi tutta nel trailer, a riprova di come anche chi distribuisce il cinema d’essai è parte integrante dell’orrore che non da pace al regista. Probabilmente ce l’ha messa apposta quella scena, poiché altrimenti non avrebbero saputo come fare a distribuire un film con protagonista un asino, sebbene "Eo" rimanga un film narrativo, ben diverso da titoli come "Gunda" di Victor Kossakovsky (2020) e "Cow" di Andrea Arnold (Gb, 2021), che sono documentari. Il primo segue in particolare la vita di una scrofa e dei suoi 12 cuccioli, fino allo struggente finale con la sottrazione dei cuccioli. Il secondo, invece, sta tutto su di una mucca, ridotta a macchina da latte e da riproduzione, asservita all’imperativo inesorabile di produrre latte fino al parto indotto e alla marcia verso il macello. In un mondo, come quello attuale, dove vengono macellati ogni anno 150 miliardi tra vacche, polli e maiali, dovrebbe essere la televisione a parlarne e non il cinema di nicchia, ma tant’è. Skolimowski, da par suo, sta invece stretto sul suo asinello, e ne segue la triste odissea in giro per l’Europa. Che l’uomo sia il peggiore, tra gli animali, è perfino una banalità, ma la povera bestia lo soppesa sulla sua pelle, come quando finisce vittima di opposte tifoserie calcistiche. Qualcuno che lo aiuterebbe ci sarebbe anche, ma il tutto si perde nel mare magno della miseria umana. Con un gesto che più tenero non potrebbe essere, Skolimowsky riserva a Eo anche dei flashback, cioè gli conferisce una memoria, delle emozioni, in definitiva un pensiero. Inoltre, con una regia sorprendentemente moderna, non manca di costruire squarci visivi di grande potenza immaginifica che provengono direttamente dalla video arte, come la formidabile sequenza tutta virata in rosso fuoco, per poi chiudere con un epilogo che da solo vale il film. La si guardi, la ripresa dell’attraversamento del ponte da parte dell’asinello, che viene mostrato sostare al centro del ponte in tutta la sua romantica solitudine. Sembra un eroe, fiero e orgoglioso, per nulla vittima dell’orrore che lo aspetta. Rispetto a Balthazar, che moriva solo nel prato con accanto delle pecore, Eo va la suplizio, ma ci va con le sue gambe, trotterellando, e ci strappa il cuore, a noi miseri uomini.

Mercoledì
15 Febbraio

Migliore sceneggiatura
Festival di Venezia 2022

Coppa Volpi migliore attore
Fetival di Venezia 2022

Golden Globe 2022
migliore attore

isola

Un film potente, evocativo, dal climax tragico, tratteggiato in un luogo ancestrale, perduto nel tempo, innescato dal conflitto inspiegabile ed insensato tra due amici, compagni di bevute da una vita, che di punto imbianco non sembrano più intendersi. Chi ci vede una metafora della guerra fratricida che ha lacerato l’Irlanda vede giusto, ma vede troppo poco. Anche qui a farne le spese è un asino, vittima inconsapevole del dissidio che oppone l’uomo all’uomo.


Mercoledì
1 Marzo


god

Sul finire dell’Ottocento, l’Islanda era sotto il controllo danese. Ispirandosi a sette foto di quel periodo, il regista segue le tracce di un prete cui viene assegnato il compito di recarsi sull’isola, documentare con delle foto la vita degli abitanti e costruire una chiesa. Il giovane prete, però, si trova a vivere solo dissidi, e mai condivisioni, tanto che l’Islanda di Godland sembra l’Irlanda de Gli spiriti dell’isola. Le immagini finali, con le successive tappe della decomposizione di un cavallo fotografate nell’arco di due anni, sembrano ricondurre uomo e creato non all’evoluzione ma alla decomposizione.