L’Officina
Visionaria


L'Officina Visionaria non è cinema e nemmeno teatro. E' la tabula rasa della messa in scena, il livello zero della narrazione. Non ospita lezioni o conferenze, ma performance minimali in cui è in scena non chi narra ma ciò che è narrato. E' così che, con un microfono, il sibilo di un treno, brani musicali come l'Internazionale e la "patetica" di Beethoeven, una bottiglia di vino Stalin e la batteria di Andrea Marchelli, è stata rievocata la figura di Lenin e delle due donne che l'hanno amato. Un ritratto per nulla celebrativo, che ha tratto le mosse dall'agonia dell'uomo che ha cambiato la storia, per suggerire alla fine che se si fosse appena un po' più lasciato andare all'ascolto della musica, milioni di uomini, nel mondo, ne avrebbero giovato. Diceva, infatti, lo stesso Lenin: "Non posso ascoltarla troppo spesso, perché tocca i nervi, fa venire la voglia di cose insignificanti, e di accarezzare la testa di chi ha saputo creare cose così belle". Il prossimo appuntamento ad aprile, quando verrà narrato il dramma degli intellettuali ebrei in fuga dalla Francia occupata, un dramma che avrà per teatro un piccolo sperduto paesino ai confini tra la Francia e la Spagna, Portobou.

FINE TERRA MAI

DILLO A STALIN

LA CREATURA DEL DESIDERIO